6 agosto


1984
La brillante estate di Gilmar Popoca

Per tagliare la testa al toro, alle Olimpiadi californiane la Confederação Brasileira de Futebol mandò una squadra di club, l'Internacional di Porto Alegre.
Chissà perché, occorrerebbe un'apposita ricerca.

A quelli dell'Inter misero addosso le casacche della Seleçao, e se la cavarono discretamente, arrivando addirittura alla finale. Poterono giovarsi di un solo notevole rinforzo, guarda caso colui che portava sulle spalle il numero più rischioso per un calciatore: il numero dieci. Un promettente ventenne, cervello del Flamengo, il successore designato di Zico: Augilmar Silva Oliveira. Anzi: Gilmar Popoca.
Un craque di breve durata, ma che rifulge nell'estate americana. Segna in tutte le partite, o quasi. Sempre gol decisivi. In questo momento, per esempio, un pallone sfuggito al controllo di tutti, un pallone impazzito, finisce proprio tra i suoi piedi, mentre è casualmente appostato a pochi metri dalla porta del Canada. Lo raccoglie, si gira e in qualche modo lo mette alle spalle del portiere. Sì, è un gol decisivo, perché l'Internacional stava perdendo, uno a zero, a un quarto d'ora dalla fine.

Il calcio alle Olimpiadi è sempre uno spettacolo strano, e il destino dei suoi protagonisti incerto come la traiettoria di un pallone che qualcuno potrebbe improvvisamente, involontariamente deviare.

[Tratto da Michele Ansani, Lenta può essere l'orbita della sfera]

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