30 luglio

1930
E il fútbol diventò un affare terribilmente serio

Questa foto è molto famosa, fu naturalmente scattata poco prima del calcio d'inizio, e racconta già la partita. 
A sinistra José Nasazzi, el Mariscal, anima e guida della Celeste; a destra il capitano dell'Argentina, talentuoso e ambidestro delantero dell'Estudiantes, Manuel Ferreira. Nasazzi non ha ancora trent'anni, Ferreira va per i venticinque: eppure, a vederli, si direbbe ci sia tra i due un'assai più marcata differenza di età. La carismatica spavalderia di Nasazzi, lo sguardo timido, quasi sgomento di Ferreira. Un professore severo, e di fronte a lui uno studente bravo, sì, ma in chiara soggezione. 
Paradossalmente, pochi giorni prima Ferreira era tornato rapidamente a Baires, per laurearsi. E proprio los Profesores erano soprannominati gli attaccanti dell'Estudiantes, i componen­ti di un famoso reparto offensivo che lui, Ferreira, sapiente­mente guidava.
Sullo sfondo, le tribune e la torre del Centenario.
Da Baires arrivarono in pochi. Le cronache narrano dei tremila argentini imbarcati sul Caio Duilio, grande transatlantico italiano che collegava il Belpaese al Sudamerica, e che - sulla rotta del ritorno - faceva scalo a Montevideo. Ma non riuscirono a trovare posto nella cancha
Le cose andarono come ad Amsterdam nel 1928. Era inimmaginabile che l'Uruguay perdesse la coppa che aveva organizzato, che perdesse la finale, che perdesse contro l'Argentina. Ma la sconfitta a Baires fu accolta con una certa rabbia; ritennero che l'arbitro belga avesse eccessivamente patito il condizionamento ambientale; si racconta di grandi manifestazioni di piazza, di un assalto al consolato dell'Uruguay, di sassaiole contro le donne che, affacciate al balcone di una casa sull'Avenida di Mayo, sventolavano la bandiera uruguayana, e di come la polizia fu 'costretta' a sparare sulla folla inferocita per disperderla. 
Così, mentre Montevideo esplodeva di entusiasmo, appena più a ovest, sull'altra sponda della Plata, il fútbol era già diventato una cosa terribilmente seria.
Cineteca


1966
La Restaurazione

E così, signori miei, il West Ham United ha conquistato la Coppa del mondo.
Il trofeo, dunque, andrebbe equamente diviso: un pezzo (piccolo) nella bacheca della Football Association, un altro (grosso) in quella del club di Upton Park - d'accordo, siamo sempre a Londra. 
Eh sì, perché degli unici tre Hammers schierati da Ramsey nella finale (Geoffrey Hurst, Martin Peters e Bobby Moore) due hanno risolto la partita, infilando quattro palloni (uno, certo, discutibile) alle spalle di Tilkowski, e il terzo (essendo capitano) ha sollevato la coppa in faccia ai tedeschi e mandato la regina in brodo di giuggiole.

Così l'Impero è risorto, anzi ristabilito, è stata una lunga convalescenza, ma finalmente gli inglesi possono riprendere a dormire sonni tranquilli. Loro è il gioco, loro ne hanno escogitato le regole in ogni dettaglio, i campioni del mondo com'è giusto che sia (e come sempre sarebbe stato giusto che fosse) sono loro, e da adesso in poi il loro dominio dell'albo d'oro si protrarrà senza accidenti e intrusioni di sorta sino al tramonto dei millenni.

E' la Restaurazione del football, riconsacrato nel suo massimo Tempio.

[da Michele Ansani, Lenta può essere l'orbita della sfera]