3 luglio

1974
Ultima sinfonia olandese

A Dortmund c'è Brasile-Olanda, chi vince va in finale e l'arbitro è tedesco. Vi pare normale? E poi, siete sicuri che questi siano pedatori brasiliani, e non pericolosissimi delinquenti scappati dal penitenziario di Yuma? Bah. "Mi complimento con i miei giocatori per la volontà ed il dinamismo con cui hanno lottato", ha detto Zagallo. L'Olanda vince due a zero, la sua musica è sempre la stessa e a qualcuno non piace. Henri Kissinger, però, si è divertito: "magnifica partita!", commenta. Non ne aveva mai vista una, se ha apprezzato è perché non si notavano troppe differenze tra questo football e quello praticato negli States. Anzi sì, una c'è: qui i giocatori non hanno il casco, davvero strano. Dicono che Pelé si sia vergognato dei suoi, e abbia lasciato il Westfalenstadion ben prima della fine. Michels è ironico: "ci dovrebbe essere anche l'arbitro in campo!". Giusto, l'arbitro. Il famosissimo Kurt Tschenscher. Ha all'attivo tre mondiali - questo, per fortuna, è l'ultimo - e l'invenzione dei cartellini. I cartellini sono come l'ostia, e vanno somministrati ai peccatori. Tschenscher perdona quasi tutto e quasi tutti, è il suo ultimo contributo al progresso della nazione. Così, la comitiva olandese è in partenza per Monaco piena di lividi e cerotti. Ma di buon umore. "Ora si inizia a fare sul serio", dice il Profeta.
Cineteca

1977
La notte degli addii

In quella grigia stagione, Milan e Inter chiusero il campionato in posizioni di classifica anonime. Messe insieme, raggranellarono poco più della metà dei punti conquistati dai dominanti club torinesi. In Europa, l'Inter fu eliminata all'altezza dei trentaduesimi di finale della Coppa Uefa dalla leggendaria Honvéd di Budapest; il Milan arrivò fino agli ottavi, poi trovò sul suo cammino l'insormontabile ostacolo dell'Athlétic di Bilbao. Essendo anno dispari e senza mondiali o europei, si poteva tirarla in lungo. Gironi su gironi all'italiana di Coppa Italia, per designare le due finaliste. Così, un po' a sorpresa, ci arrivarono le milanesi. Il derby andò in scena nel suo teatro naturale; San Siro si riempiva di afa, di zanzare e di settantacinquemila senzavacanze e senzavittorie da quel dì. Vinse il Milan due a zero, per Mazzola e Rivera (foto) fu il quarantesimo derby, secondo Mazzola l'arbitro favorì il Milan e davanti alle telecamere della Rai si produsse in una colta citazione dantesca: "vuolsi così colà dove si puote". Evidentemente pensava al palazzo di Eupalla, dove regnava una certa commozione. Sulla panchina del Milan, in quel derby, sedette per l'ultima volta Rocco. Nereo Rocco, il Paròn. Ma anche Sandrino, Alessandro Mazzola, il Baffo, era al passo d'addio. Due giganti. Infinita tristezza.


1990
Bravi, bravissimi, anzi modesti

Al mondiale italiano, Maradona era giù di forma e l'Argentina una squadra che definire penosa è puro eufemismo. Eppure, al trentenne dio degli stadi furono sufficienti poche giocate delle sue per guidarla fino al capolinea del torneo, nonostante il deragliamento dell'esordio contro i sorprendenti leoni del Camerun. Ricordate la partita col Brasile? Un imbarazzante dominio carioca, occasioni su occasioni gettate al vento finché lui, partito dal cerchio del centrocampo, decide di dribblare tutti (come all'Azteca) e giunto al limite dell'area, ormai circondato (e senza più fiato nei polmoni e forza nelle gambe), di destro (di destro!) trova la traiettoria esatta per servire Caniggia, libero, solitario y final. Uno a zero, addio Brasile. E poi, in semifinale, Diego contro la sua seconda patria: l'Italia. A Napoli, per di più. Lui corre poco, distribuisce palla, dirige i compagni. Gli azzurri non trascorrono un bel primo tempo, anche se passano in vantaggio. Diego li mette in soggezione, Zenga va a farfalle e Caniggia fissa il pari (foto). Si va ai supplementari e poi ai rigori, adios amigos. Fine delle notti magiche. La critica nostrana inferocisce, e come al solito Gioann Brera canta fuori dal coro. "Il traguardo massimo era l'ingresso in semifinale, l'abbiamo raggiunto: di che ci lamentiamo? Non abbiamo mai perso una partita. Abbiamo giocato anche discretamente bene (ma senza esagerare). Abbiamo goduto del rispetto degli arbitri, come è costume quando si organizza". Morale: azzurri "bravi, bravissimi, anzi modesti".
Cineteca

1998
Que reste-t-il de nos amours?

Stavo ripensando a quel tiro. Quella girata al volo di Roberto Baggio, spalle alla porta, da angolo impossibile. A mia memoria, non ricordavo di aver visto qualcosa di simile. Peccato sia uscito, "di tanto così", mostrava lui - incredulo - accostando i palmi delle mani (foto). Sul prato di Saint-Denis doveva giocare lui, dal primo minuto, e non Del Piero, "che sembrava quella poesia di Garcia Lorca per il torero Ignacio: corpo presente, anima assente" (Gianni Mura). Ripenso spesso a quel tiro, a quel gesto da fuoriclasse, a quell'invenzione che avrebbe dissolto la tenacia dei francesi, la loro ostinazione non ispirata; il gol che avrebbe messo fine a un assedio disordinato, rabbioso, inefficace. Ma penso anche che, quella volta, contro i nostri cugini d'oltralpe non meritavamo di vincere la partita. L'hanno vinta loro, ma solo quand'era già finita, solo dopo centoventi minuti di inutili assalti. Ai calci di rigore. Loro restavano in corsa, noi uscivamo dal mondiale. "Usciamo spesso così: senza aver realmente vinto, senza aver realmente perso, senza averci realmente provato, ma con un peso in fondo all'anima che pesa più del Titanic e della tristezza cosmica di una canzone come Que reste-t-il de nos amours?" (Emanuela Audisio)

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