11 luglio

1966
La preistoria e la storia del football

La delusione degli inglesi è palpabile. Hanno tirato a lucido Wembley e messo in campo tutte le loro bande militari; hanno steso il tappeto rosso per la Regina (foto), all'entrata e all'uscita; erano pronti ad avventarsi sull'Uruguay, un XI secondario, la squadra materasso di questa Coppa del mondo. Gli anni passavano, loro collezionavano sconfitte epocali, e per il solo fatto di giocare finalmente una partita della Rimet a Wembley pensavano di travolgere la storia. Perché di questo si trattava: di un match tra la preistoria e la storia del football. L'Uruguay era la storia, e questo spiega sinteticamente ma ragionevolmente perché i pedatori in maglia celeste siano stati in grado di addomesticare la partita, spezzandone il ritmo, tenendo palla, prendendo botte senza reagire. Finì zero a zero, tra i fischi dell'Empire Stadium. "Gli uruguayani, abilissimi giocolieri, accarezzavano il pallone. I granatieri inglesi consumavano fiato ed energia": così il Sun, raccontando una storia che pareva nuova e incredibile ma era molto, molto antica.
Cineteca

1982
Tierra dove la pelota è rotunda

Sì Vostro Onore, lo ammetto. Avevo comprato una bandiera e la esposi sul balcone. Certo, partecipai ai cortei. Ballammo in piazza, in casa non era rimasto nessuno. Sì, gli insulti che rivolsi a Paolo Rossi fino alla partita contro il Brasile sono pesanti, irripetibili. Poi ho iniziato a smoccolare contro gli avversari, soprattutto i tedeschi. E' vero, ho anche mandato al diavolo, bestemmiando furiosamente, Antonio Cabrini quando ha sparacchiato da emerito brocco quel calcio di rigore. No, Vostro Onore, non mi pento di nulla. Anzi. Vostro Onore, lei ha una certa età, probabilmente nel 1934 e nel 1938 era solo un ragazzino, non so che ricordo abbia di quei tempi, anche se per certi versi erano tempi funesti. Vedo che sorride, scommetto che in questo preciso istante lei stia rivedendo Meazza che solleva la Coppa del mondo. Ecco, io non ne avevo mai vinta una. No, Vostro Onore, non mi erano particolarmente simpatici quegli individui, individualmente considerati, anche perché giocavano tutti o quasi tutti nella Juventus. Lei è juventino? Vedo che sorride, ci avrei scommesso. No, non mi erano simpatici, ma non importa. Perché da quella sera li amo tutti, nessuno escluso, senza ritegno e per l'eternità.


2010
L'uomo che sbuca aggrappandosi al nulla

La Spagna ha concluso la sua scalata. Già campione d'Europa, si laurea campione del mondo. Sta facendo indigestione di titoli, conquistando tutto ciò cui aveva sempre ambito ma che, per un motivo o per l'altro, pareva irraggiungibile. In Sudafrica alla Roja basta un gol per partita, dagli ottavi in giù. Una difesa impermeabile, soprattutto perché gli avversari il pallone tra i piedi non ce l'hanno quasi mai. E se, quando ce l'hanno, sprecano facili occasioni da gol, è difficile che dispongano di un'altra opportunità - chiedete informazioni ad Arjen Robben. Sicché l'Olanda per la terza volta perde in volata: e, questa volta, perde contro un XI che ha adottato - con qualche non secondaria variante - il calcio che lei stessa aveva brevettato senza mai riscuotere i diritti mondiali. A veder giocare gli arancioni, divenuti cinici, utilitaristici e scarponi (chiedete informazioni su van Bommel e De Jong), il grande Johan non si diverte neanche un po'. E così, in una finale tra "energumeni e ballerini" (Gianni Mura), è un passo di danza di Iniesta (foto) a decidere, poco prima che anche il secondo tempo supplementare dissolva nella notte di Johannesburg. "Quando le partite sembrano finite, i sogni spezzati e ogni destino rinviato, arriva lui e s'aggrappa al nulla che resta trasformandolo in quel tutto che ci farà ricordare" (Gabriele Romagnoli).
Cineteca


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