22 giugno

1974
Germania contro Germania

Il pallone imbizzarrisce e sbatte sulla faccia dell'uomo con la maglietta blu, il numero 14; sembra un controllo involontario, ma la sua efficacia è sicura, perché taglia fuori i pochi in maglia bianca che presidiano l'area. Uno, due, tre, quattro rimbalzi: poi il piede destro del numero 14 esplode un colpo che indirizza il cuoio sotto la traversa. Un tiro imparabile. "Non casco dalle nuvole. So di essere l'eroe di un'epoca che non tornerà. Quel giorno al Volksparkstadion gli 8.500 tedeschi arrivati ad Amburgo con i treni dall'est e con un visto turistico che durava giusto il tempo della partita, alzarono le braccia. Per il gol sì, ma anche per tutto quello che significava. Quella rete diventò per un anno la sigla di molti programmi sportivi. E dopo la caduta del muro, per ricostruire un'identità sportiva collettiva, tutti chiedevano all'altro: dov'eri quando Sparwasser segnò?". Il centravanti operaio del Magdeburgo fu dunque autore del gol che decise l'unico derby mai disputato fra la Germania e la Germania, quando il muro ancora divideva l'una dall'altra. Un gol che in apparenza, se circoscritto alla sola vicenda agonistica e statistica di quel mondiale, serviva solo ad assegnare il primo posto nel girone. Tuttavia, proprio perdendo quel match, i tedeschi dell'ovest ebbero il cammino spianato verso la finale: altro che la Waterloo evocata a caldo dal Kaiser. Evitarono infatti di incrociare nella seconda fase a gironi brasiliani e argentini, e soprattutto l'arancia meccanica, che toccò invece agli "onesti somari" dell'est. Chi se la sente di escludere che, sotto sotto, Beckenbauer e i suoi si fregassero le mani? Uno come Breitner - per dire - non è detto che morisse dalla voglia di dare una lezione ai fratelli comunisti; fu lui ad aspettare i tedeschi dell'altro blocco negli spogliatoi, e fu lui a prendersi (in cambio della propria) la maglia del centravanti operaio. Nel tempo, i contenuti simbolici e politico-militari di quella partita sfumeranno in pacate o faziose analisi del rapporto tra il calcio e ciò che ne è pallida metafora (la realtà, la politica); e l'eroe di Amburgo, Jürgen Sparwasser, sarà un giorno bollato dai suoi come traditore, quando getterà il cuore e le gambe oltre l'ostacolo. Accadrà nel 1988; ancora pochi anni, e quell'ostacolo (il muro) sarà definitivamente rimosso. E fra tedeschi non ci sarà più nessun derby da giocare; quello del Volksparkstadion rimase senza alcuna possibilità di rivincita.

1982
El Nene

Dopo la finale del 1970, qualcuno chiede a Pelé se parteciperà anche alla prossima coppa del mondo. Difficile, quasi impossibile. "Non preoccupatevi, ho già un successore ed è Teófilo Cubillas", rispose. Già. Cubillas, 'El Nene', il più forte calciatore nella storia del Perù. Ci ricordiamo le sue movenze felpate, sulle alture messicane, quando in una sconosciuta (per noi europei) selezione con banda rossa trasversale sulla maglia regalava gol ed emozioni. Ne fece uno anche al Brasile, ma naturalmente non bastò. Sono trascorsi dodici anni. Al Riazor sta giocando la sua ultima partita con quella maglia, sono gli ultimi minuti, la Polonia ha dilagato nel secondo tempo. Cinque a uno, sarà un triste saluto, quello del Nene. Perciò, quando l'arbitro si sarà ripreso il pallone, non lasciate che torni da solo negli spogliatoi. Alzatevi in piedi, e che il vostro applauso sia lungo. Lungo e caldo, come lui si merita. Cubillas è stato una grande stella del Sudamerica.

1986
Capolavori di Diego

L'Azteca è teatro di partite indimenticabili, negli anni in cui il Messico organizzò la Coppa del mondo. Nel 1986, per esempio, ci fu Inghilterra-Argentina. L'incrocio avveniva a quattro anni dalla 'Guerra delle Falklands'. Fu la partita in cui el Diego diede prova per gli argentini della propria santità in vita. Suoi furono i gol che decisero il match. Inutile rievocarli, tutti li conoscono, tutti li hanno visti decine e decine di volte. Forse non ve ne sono di più famosi, nella storia del football. Cari signori, se volete più tardi li proiettiamo ancora. Come? Li proiettiamo subito, d'accordo. Ecco, questo è il primo (la mano de Dios) e questo è il secondo (Diego che, uno dopo l'altro, semina gli inglesi e va in porta col pallone). Il secondo è davvero un capolavoro assoluto. Si può discutere sulla santità del Pibe, certo: ma che si tratti di un artista di valore universale e assoluto, nessuno lo può negare. Personalmente, preferisco lui a ... (mah, non mi viene in mente nessuno, al momento: ci penserò). Il bello è che lui dice di essere affezionato soprattutto al primo dei due, il gol palesemente malandrino che qualsiasi arbitro al mondo non avrebbe convalidato - e sarebbe interessante sapere chi, in quell'istante, ottuse gli occhi e otturò il fischietto di Alì Bin Nasser, l'arbitro tunisino. A ogni modo, l'iceberg inglese è superato, e l'Albiceleste un transatlantico che naviga tranquillo in direzione della finale. Bene. Credete che per los argentinos il bello fosse ancora di là da venire? Per nulla. Lo dicono tutti. Il loro scopo non era vincere il mondiale, ma la guerra con gli inglesi. La vinsero, all'Azteca, e da quel giorno si sono (quasi) dimenticati delle Malvinas.
Cineteca


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