15 giugno

1958
The greatest three minutes of football ever played

Gabriel Hanot disse che bisognerebbe rivedere bene e molte volte i tre minuti iniziali di questa partita: sono i più grandi mai giocati da una squadra nella storia del football. Purtroppo non possiamo goderne che alcuni frammenti, ma tant'è. Fidiamoci. Tutte le cronache del giorno dopo decantavano la meravigliosa benché compiaciuta prestazione dei futuri campioni del mondo; Jašin vide le streghe, ma tutto sommato ne incassò solamente due - entrambi da Edvaldo Izídio Neto, alias Vavà (foto): il primo su geniale verticalizzazione di Valdir Pereira, alias Didi. Dal canto suo, Garrincha (alias Garrincha) nascose il pallone e fece girare la testa per novanta minuti a Boris Kuznetsov, terzino sinistro della Dinamo Mosca. Inoltre qui, all'Ullevi di Göteborg, disputò la sua prima partita in una coppa del mondo il diciassettenne Edson Arantes do Nascimento, alias Pelé. Una mezzala sinistra coi fiocchi.
Cineteca

1974
Allenamento ad Hannover

Allenamento dell'Arancia meccanica ad Hannover. Con due punti in palio, sì. Contro l'Uruguay, embè? Infatti, sono le vecchie glorie dell'Uruguay. Certo, Mazurkiewicz è sempre lui, compie una dozzina di miracoli, ma i leggendari portieri sentono meno degli altri il peso degli anni. Gioca ancora Pedro Rocha? Gioca ancora Cubilla? Sì, è lui (foto), è quello che "somiglia ad un bue" (e "la differenza sta soltanto nei baffi e nel fatto che si fa sballottare come un sacco di patate"). Lenti e impacciati, i sudamericani incarogniscono e randellano alla cieca, dal primo minuto al novantesimo. Cruijff si esercita nell'arte di scansare lo scansabile, l'arbitro in quella di tollerare l'intollerabile, lesinando i cartellini e mostrando il rosso solo a Montero Castillo ("forse per il suo nome da torero"). Come che sia: anche l'Olanda ha fatto il suo esordio qui alla Fußball-Weltmeisterschaft. Senza battere ciglio; due gollettini di Johnny Rep, ordinaria amministrazione. Non batte ciglio nemmeno Roberto Porta, entrenador della Celeste: "Se qualcuno è rimasto deluso dalla nostra prestazione, non so che cosa farci. Noi abbiamo sempre giocato così, anche quando vincemmo due titoli". Sarà.
Cineteca | Virgolettati da La Stampa del 16 giugno


1986
Il portiere che non intuiva i movimenti dei compagni

Di solito, se il tuo centravanti ne insacca tre e poi vince il pallone d'oro, ne trai qualche vantaggio: vinci le partite e anche il campionato. A te invece, caro Valeriy, girano tutte storte. Il bravo Igor Belanov (foto) cala il tris, ma quelli finiti alle spalle del tuo portiere sono quattro. I conti non ti tornano? Proprio a te, che del football hai scientificamente studiato ogni particolare, ogni minimo dettaglio, ogni possibile situazione di gioco? Ah, ecco perché. Il portiere è uno dei pochi che non hai prelevato dalla tua Dinamo, e dunque non può essere così abituato ai tuoi schemi. Non conoscendoli bene, si trova in grave imbarazzo, non segue i movimenti dei difensori, non intuisce in anticipo l'istante in cui uno di loro andrà a farfalle, distratto dalla necessità di eseguire il movimento perfetto - soprattutto quando avrebbe lo scopo di mettere l'avversario in posizione dei fuorigioco, cosa che (dovresti saperlo) contro i belgi non è consigliabile, essendo loro maestri massimi nella disciplina. Oggi è capitato quattro volte, e non si dica che Rinat Dasaev è un ronzino. Quattro buchi, quattro a tre, e la Dinamo travestita da Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche abbandona il México già agli ottavi di finale. Povero Igor, tanto prodigarsi per nulla: "se rigiochiamo dieci volte, vinciamo sempre noi. Ma sono discorsi inutili, come i miei gol. E' triste andarsene così". Molto triste.


1988
Il primo canto del cigno

La stagione non era stata granché, soprattutto per via di un guaio al suo tallone d'Achille, la caviglia destra, che lo tenne fuori per mesi. Aveva guardato i suoi dalla panca per un'ora nella prima del girone, che proponeva lo scontro titanico fra i due più grandi maestri di football allora viventi: Michels e Lobanovski. L'ucraino ne aveva schierati otto della Dinamo Kiev e uno tra i meno noti (ma non perciò tra i meno bravi), Vasiliy Karlovich Rats, aveva risolto la partita. Tre giorni dopo, Marco Van Basten è nell'undici di partenza. Di fronte c'è l'Inghilterra, reduce da un'impresa che le mancava dal 1949: perdere con i Dubliners - e naturalmente, di conseguenza, rischiando l'immediata rimozione dal torneo. Ma avevano alle spalle un bel mundial, gli albionici, e ne erano usciti solo per mano de Dios. E ora, contro l'Olanda, il loro famoso e quasi quarantenne portierone, Peter 'Leslie' Shilton (quello che stava tra i pali del Nottingham Forest, negli anni dorati della contea), avrebbe messo in guardaroba il suo centesimo capnella Hall of Fame dell'erigendo National Football Museum, a Deepdale, stavano già progettando uno spazio per lui vicino ai due famosi Bobbies del '66, sino ad allora gli unici centenari del Regno. Insomma un avvenimento, una di quelle giornate che nessuna persona di buon cuore vorrebbe guastare. Noto per la sua insensibilità, Rinus Michels affidò a Marco il compito di rovinare la festa. E il cigno esplose in tutta la sua letale bellezza: lasciò a Shilton il cappello, ma si portò a casa il pallone secondo l'usanza tipicamente inglese, prevista per chi alla fine dei 90' lo ha insaccato tre volte. "I had no intention of allowing Gullit and Van Basten to rip holes in us the way they had in Dusseldorf", dirà Bobby Robson nell'autobiografia. Qualcuno, evidentemente, sospettava il contrario.

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