28 maggio

1969
Pallone d'oro in arrivo per l'abatino

Perché l'abatino vincerà quest'anno il pallone d'oro? Perché a tutti sono rimaste impresse nella mente alcune sue leggiadre giocate nella finale di Coppa dei campioni, al Bernabéu, contro l'Ajax. Quella sera, lui e Pierino Prati hanno fatto vedere i sorci verdi ai Lancieri. Negli anni a seguire, quelli in vena di provocazioni chiedevano a Johan Cruijff: "ti ricordi di Pierino la Peste?". Nessuna risposta. Gli si appannava la vista e, sicuramente, avvertiva una morsa allo stomaco. Non gli piaceva perdere, e non gli piaceva tornare con la mente alle sconfitte. Ma dicevamo di Rivera. Eccolo in fuga, nella metà campo dell'Ajax. Il suo dribbling è basico, ma efficace. Ha davanti a sé soltanto il portiere, e lo scarta. Ma si allunga la sfera. Si decentra, in direzione dell'ángulo de la muerte, da dove la porta sembra solo un dettaglio in quell'enorme catino. Niente da fare, l'occasione è perduta. Ma lui non si agita, è uno per il quale la sola cosa importante è avere sempre delle idee. Così si ferma, alza la testa, e vede che l'area si sta affollando. Sfiora la palla, ed è una traiettoria né veloce né lenta, né lunga né corta. Se sulla testa di Prati ci fosse una lattina di birra, l'avrebbe centrata in pieno. Ma non c'è, e così Pierino può solo prodursi in uno stacco lieve, colpendo la sfera con la fronte e incrociandola sul lato più lontano (foto). E' finita. Quattro a uno. Rossoneri di nuovo sul palco d'onore, a ricevere la coppa.
Cineteca


1976
Italiani a New York

La nazionale italiana gioca per la prima volta in una delle più grandi città italiane del mondo: a New York. E' andata fin là solo perché esclusa dalla fase finale degli europei, e uguale motivo ha convinto gli inglesi ad accettare l'invito. Si gioca un torneo di soccer sponsorizzato dal quinto evangelista, Edson Arantes do Nascimento, con la scusa di festeggiare il bicentenario dell'indipendenza americana. C'è anche il Brasile, e a completare il quartetto una selezione denominata Team America, costituita dalle star della North American Soccer League - per lo più pedatori a fine corsa, tra i quali ovviamente Pelé. Oggi, allo Yankee Stadium (foto), c'è Italia-Inghilterra, puro entertainment per tutti o quasi. Don Revie ha, sinora, vinto solo le partite che non contano; fa esordire tra i pali John Rimmer, goalkeeper dell'Arsenal, che ne becca due in pochi minuti e prende un volo per Londra prima dell'inizio del secondo tempo. Che bellezza, per i nostri milioni di immigrati. Si farà festa, stasera, per le strade di Little Italy. Un corno. Riprende la partita, e in un amen quelli ne fanno tre. Oddio. Dagli spalti, insulti beffardi, è un vero tradimento. Fuffo Bernardini dice che ci siamo spaventati. Perché? Perché stavamo giocando troppo bene! Per Bearzot invece - certo, gli errori individuali non sono mancati - ha fatto semplicemente capolino l'imponderabile. Altrimenti, come si potrebbe spiegare il pugno sferrato da Giacintone a Dave Clement? Come che sia, il dramma verrà superato in fretta; in autunno rivedremo gli inglesi per una partita che conta davvero, e riceveranno una sonora lezione!


1980
I favolosi anni della contea

Certo, se la risposta fosse affermativa, sarebbe un paradosso: esiste la bacheca di un club nella quale si conta un numero di coppe dalle grandi orecchie doppio rispetto a quello dei piatti ricevuti per il titolo di campione nazionale? Sì, esiste. Si tratta di un club che però, paradossalmente, nessuno annovera fra le grandi leggende del football europeo. La squadra favolosa di quegli anni (i last Seventies) era il Liverpool. Ma fu proprio il Nottingham Forest, sotto la guida di Brian Clough, a spezzarne l'egemonia. Una cavalcata impensabile, se si pensa che i Tricky Trees, dal 1972, vagavano intristiti per i campi roventi della Seconda Divisione: fino alla tarda primavera del 1977, quando acciuffarono finalmente il terzo posto, l'ultimo utile per il transito nella First. Il motore restò caldo, perché in estate si divorarono, come leggero antipasto, la seconda edizione della Anglo-Scottish Cup. Poi, nella ripetizione della finale (22 marzo 1978), si gustarono la Football League Cup, lasciando il Liverpool a bocca asciutta. E il digiuno domestico dei Reds non era finito, perché conclusero la First Division a ben sette punti dal neo-promosso Nottingham (ma a Liverpool banchettarono, rifacendosi ampiamente con la Coppa dei Campioni, a fine maggio). Per la prima e ultima volta, il titolo nazionale veniva festeggiato nella contea resa eterna dalla cultura popolare, e che stava per entrare nella geografia del mondo incantato di Eupalla. Infatti, come sanno tutti gli eupallici, arrivarono i due trofei continentali (il buongiorno si vede dal mattino: i neofiti di Clough si trovarono opposti al Liverpool detentore per il turno d'esordio, e lo liquidarono senza problemi), ma anche una seconda League Cup, la Charity Shield, e l'Uefa Super Cup. Con la finale del 28 maggio 1980 contro l'Amburgo quel romanzo giunge al suo lieto epilogo. Lo scrive e lo firma, con un autentico masterpiece, il protagonista che fa capolino in tutte le sue pagine (243 partite consecutive, fra il dicembre del 1976 e il dicembre del 1980). L'ala sinistra del Nottingham, destrorsa e scozzese, John Neilson 'Super Tramp' Robertson (foto). Parole di Brian Clough: "John Robertson was a very unattractive young man. If one day I was feeling a bit off colour, I would sit next to him. I was bloody Errol Flynn compared to him. But give him a yard of grass and he was an artist. The Picasso of our game".
Cineteca


2003
Il grande assente

Le telecamere vanno spesso su di lui, il grande assente. Certo, se ci fosse lui sarebbe un'altra partita. Vedi cosa può costare un cartellino giallo di troppo? Castigo dietro la lavagna per chi lo piglia, e penitenza per i suoi compagni di squadra. Al Teatro dei sogni va in scena una finale di coppa tutt'altro che memorabile; del resto, sosteneva la critica che non ha in particolare simpatia the italian way, che spettacolo possono mai offrire Milan e Juventus? In fin dei conti, la partita non è stata inguardabile. Certo, nemmeno l'ombra di un gol - belle parate, bei tiri, belle azioni: qualcosa c'è stato -, si finisce alla cosiddetta lotteria dei rigori e il biglietto vincente, che è poi l'ultimo da estrarre, è nelle mani di Sheva. Da dietro la lavagna, Pavel Nedved sente l'urlo della torcìda rossonera levarsi per assordare il cielo dell'Inghilterra, e tenendosi la testa tra le mani pensa che non meritava il castigo, e che se avesse potuto giocare la storia non sarebbe finita così. Molti la pensano allo stesso modo. Ma chissà.